Oltre l’amore: oltre il romanticismo LGBTQ+

Tendenze / Autenticità
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Tristen Norman
giu 27, 2019
Una volta finito il Pride Month, tradizionalmente a giugno, molte aziende mettono da parte i loro prodotti arcobaleno, tolgono i simboli LGBTQ+ dalle loro vetrine e il loro pink washing sarà una notizia passata. Ma cosa significa questo in termini di visibilità sui media, durante tutto l’anno, per la comunità LGBTQ+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer o questioning)? E indipendentemente al periodo dell’anno, stiamo facendo la cosa giusta?

Per la grande maggioranza dell’industria del marketing e della pubblicità, i progressi nella rappresentazione della comunità LGBTQ+ con persone reali sono stati lenti, goffi e spesso‑monodimensionali. La prima pubblicità LGBTQ+ rivolta ad un pubblico di massa è apparsa 25 anni fa negli Stati Uniti, nel 1994 grazie ad Ikea. Lo spot era titolato “Sala da pranzo” e rappresentava una coppia di ragazzi gay che facevano compere per l’arredamento di casa loro. Venne trasmesso in tre mercati (Washington D.C., Philadelphia, New York City) dopo le 10:00 di sera per “evitare l’orario di programmazione dedicato alle famiglie” e nonostante questa limitazione, fu largamente contestato. Il direttore creativo della Deutsch – l’agenzia ideatrice della campagna – credeva che questa fosse l’alba di una nuova era nella pubblicità e che molti brand avrebbero seguito le sue tracce.
Eppure, quello che è accaduto da allora è più paragonabile ad una lieve pioggerellina, piuttosto che a un diluvio. Nel 2012, nella campagna di Ray‑Ban “Never hide”, per la celebrazione del loro 75esimo anniversario, comparivano due “gentiluomini inglesi” mano nella mano. Lo stesso anno, Gap presentò due ragazzi abbracciati in una maglietta, come rappresentazione della loro campagna “Be One”. Nel 2013, Amazon Kindle mostrò una coppia gay sposata in vacanza. Nel 2014, una pubblicità della Cheerios uscita in Canada presentava una coppia gay di papà con la loro bambina adottata. Nel 2015, un’altra coppia di padri gay con la loro figlia adottiva comparvero nella pubblicità di Campbell. Nel 2016, la campagna pubblicitaria di Airbnb “Don’t Go There, Live There” mostra due mamme e i loro bambini a spasso per Los Angeles. Vi salta all’occhio uno schema per caso? A noi sì. Oggi, molta della pubblicità legata ai LGBTQ+ orbita intorno ad un romantico sentiero eteronormativo: trova il tuo compagno, sposalo e fai figli. Ripeti.

La maggior parte delle volte, la pubblicità è il polso del clima sociale, politico o culturale del momento. “Love is Love” e “Love Wins” sono diventati i motti ufficiali del nostro moderno movimento a favore dei “diritti gay” – un movimento ampiamente radicato nella spinta per l’uguaglianza del matrimonio omosessuale – seguito dalla pubblicità LGBTQ+, con attenzione particolare nell’evidenziare coppie e famiglie gay e lesbiche. Ma questo schema – seppur spinto dalle migliori intenzioni e in grado di “far accettare” dalla società alcune comunità LGBTQ+ – inavvertitamente continua a dare una rappresentazione piatta e riduttiva dell’identità LGBTQ+. Ma c’è di più: al centro delle ampie discussioni sociali relative alla comunità LGBTQ+ ci sono per lo più coppie bianche e cisgender, mentre vengono pericolosamente esclusi trans e persone non‑binarie, così come quasi tutti i QTPOC (queer, e trans di colore).
Alcuni brand e compagnie pubblicitarie stanno cominciando a capire il concetto. Abercrombie and Fitch ha recentemente messo in risalto la loro partership di lunga durata con The Trevor Project per un’evoluzione della loro campagna “#FaceYourFierce” per mostrare il loro continuo supporto ai giovani LGBTQ+ in crisi. La campagna presenta una vasta gamma di figure pubbliche LGBTQ+ che condividono le loro storie personali tra cui spiccano Phillip Picardi (caporedattore di Out Magazine), Crystal Anderson (produttrice di Man Repeller), TJ (modello e attivista) e molti altri. Nel campo della bellezza, Sephora celebra la comunità transgender e non‑binaria con la loro emozionante campagna “We Belong to Something Beautiful” in cui compare un inclusivo cast di trans, individui non‑binari, genderqueer, gender fluid, individui gender non‑conforming tra i quali Aaron Philip (modello), Hunter Schafer (modella, attrice e attivista) e Precious Ebony (attrice e rapper). Infine, dal mondo dei beni di largo consumo, Gillette ha condiviso un toccante video che affronta un momento di tenera intimità in cui un padre insegna al figlio transgender a farsi la barba, facilitando la sua transizione.

Il fatto è: i membri della comunità LGBTQ+ vivono vite incredibilmente piene e ricche sia dentro che fuori i loro interessi romantici e/o sessuali. Lavorano, ridono, piangono, hanno amici, escono a divertirsi, vanno a scuola, bevono o restano sobri, amano le loro famiglie biologiche e ridefiniscono il concetto di famiglia per loro stessi, si sposano, trovano un compagno fisso oppure optano per relazioni non monogame, hanno bambini o decidono di non averne, esplorano gli orientamenti sessuali, rimangono fedeli al genere sessuale con cui sono nati oppure non lo riconoscono e ne creano uno completamente nuovo, trovano l’amore oppure lo evitano e tanto altro ancora. Le possibilità sono infinite e questo dovrebbe essere interamente espresso attraverso i nostri media. Noi speriamo che tutti gli importanti dialoghi fatti e l’interesse dei brand nel seguire strade alternative siano i segnali concreti dell’inizio di una nuova era.
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